Introduzione
E’ ormai sempre
più evidente che il cinema sia stato in gran parte soppiantato
da altre forme di rappresentazione, in particolar modo dai
videogiochi. Come ho scritto Matteo Bittanti: “Oggi le vendite
complessive hanno superato quota 8 milioni. La straordinaria
performance di Halo
è stata
celebrata come l’ennesima vittoria del videogame sul cinema. Si
parla infatti spesso di sorpasso del primo sul secondo. Se con questo
termine ci si riferisce esclusivamente alla forza commerciale
dell’industria videoludica, è noto che da almeno una decade
i fatturati complessivi del divertimento elettronico hanno superato
quelli del box office hollywoodiano”.
Si capisce quindi
che il videogioco sta influenzando profondamente la società e
il suo immaginario, influenza che continuerà sicuramente a
crescere, nonostante l’indifferenza di molti studiosi.
Sembrerebbe dunque
che il cinema, come sostiene Serge Daney, è “sempre più
debole nella realtà materiale, sempre più forte
nell’immaginario”.
Questo è il dato significativo: “la
forza dell’immaginario”.
Il cinema è il medium che ha formato l’immaginario del
Novecento, l’occhio tecnologico che con il suo linguaggio ha
plasmato il modello della visione su scala mondiale. E’ naturale
quindi che i nuovi linguaggi dei media siano stati profondamente
influenzati dal cinema. D’altronde anch’esso è stato
influenzato dai linguaggi di media precedenti (non è un caso
che nelle sue infinite possibilità si sia sviluppato
prevalentemente su un piano teatrale-narrativo), e viene a sua volta
influenzato dai medium venuti dopo di esso. Si può dire
banalizzando che ogni medium nato da delle domande collettive viene
agito e agisce sulla società, innestando altre domande che
contribuiranno a creare un altro medium, il quale riprenderà
le forme del medium precedente plasmandole attraverso il suo
linguaggio che influenzerà la società e a sua volta
agirà sullo stesso medium precedente. E’ per questo che non
è così assurdo pensare che i videogiochi abbiano
ripreso e riproposto lo stile del cinema, scrive Lev Manovich nel suo
“I linguaggi dei nuovi media”: “Quello che la grafica
computerizzata ha (quasi) realizzato non è il realismo, ma più
semplicemente il fotorealismo:
ovvero la capacità di falsificare non già la nostra
esperienza percettiva e materiale della realtà, ma solo la sua
immagine fotografica.”
Si potrebbe far
notare inoltre come il cinema e il videogioco ormai convergono anche
tecnologicamente, grazie al digitale. La computer
graphic è
usata sia nei videogiochi che nella post-produzione filmica. Ancora
da un punto di vista puramente tecnico, i videogiochi sono dotati di
veri e propri sceneggiatori, i quali si stanno sempre più
perfezionando e stanno avendo riconoscimenti sempre più
importanti.
Un altro aspetto
chiave è lo spettatore: “La condizione dello spettatore
cinematografico è sempre più intrecciata con quella del
giocatore: una grande produzione digitale tende a coinvolgere lo
spettatore in una sessione unica (anche se non irripetibile) con il
suo spettacolo-concerto, almeno da Guerre
stellari in
poi, anche attraverso tecniche audio come il dolby
stereo surround,
mentre il giocatore è letteralmente immerso in variopinte
animazioni multimediali quasi sovrabbondanti rispetto a quanto
richiesto dal gioco”.
E’ ciò che si può definire il fenomeno
dell’inglobamento che caratterizza la società capitalistica
(la “sensologia” di Perniola), che con il videogioco raggiunge la
massima espressione. Videogioco come realtà virtuale di massa.
Il videogioco si
immette anche in un altro fenomeno, quello della frammentazione,
l’altra faccia del postmoderno. Videogiochi che sviluppano e
completano film e film che completano videogiochi, questo vale anche
per le altre pratiche di rappresentazione e viene definito narrazione
“crossmediale”. Ma la frammentazione è anche identitaria:
“(il videogioco) incarna la frammentazione schizofrenica
dell’identità dell’individuo postmoderno, perennemente
immerso nella nuova esperienza della molteplicità, della
serialità, della proiezione, di sempre nuovi punti di vista.”
La pratica
videoludica è sicuramente la forma di rappresentazione della
postmodernità.
Dai movimenti di
macchina ai raccordi narrativi, dai modelli di personaggi alle
storie, il cinema è stato un vero e proprio serbatoio che ha
alimentato il mondo dei giochi interattivi, questo è ben
visibile in un gioco come Resident Evil 4 (titolo originale
Biohazard 4, pubblicato e sviluppato dalla nipponica Capcom).
Suddividerò
l’analisi del gioco in cinque categorie: il genere, la storia, i
personaggi, le ambientazioni e la forma.
Il Genere
Resident Evil 4
viene generalmente definito un gioco survival horror. Questo
termine viene attribuito a tutti i videogiochi in cui un personaggio
deve sopravvivere in una ambientazione horror. Il termine fu
coniato nel 1996 in occasione della pubblicazione del primo capitolodella serie di Resident
Evil, anche se le prime avvisaglie del genere si possono
rintracciare in giochi come Alone in the Dark (1992) della francese Infogrames.
Comunque è senza dubbio Resident Evil a dare una sferzata al neonato
genere. Emerge sin dall'inizio una tangenza cinematografica. Il survival horror non può
che richiamare uno dei generi filmici per eccellenza, l’horror.
E’ vero che il genere horror ha origini letterarie, più
precisamente da quella branca della fantascienza che viene chiamata
fantahorror che si riscontra principalmente nel romanzo gotico
inglese e nei romantici tedeschi, ma è poi il cinema,
influenzato dalle stesse storie letterarie, ha creare l’immaginario
visivo moderno dell’horror, facendo di questo genere uno dei
principali di tutta la sua storia che ancora oggi sopravvive. Quando
parlo di immaginario del genere horror intendo tutte quelle categorie
che vengono in mente nel momento in cui si pensa alla parola horror:
suspance, paura, lato oscuro, concetti come l’inspiegabile,
la diversità, i quali vengono messe in pratica tramite
creature mostruose, ambientazioni cupi e “strane”. La saga di
Resident Evil contiene tutti gli elementi chiave di quella categoria: c’è suspance, costruita attraverso studiate posizioni e movimenti della MDP virtuale, l'ignoto, la natura aberrante delle creature, ambientazioni
estremamente cupe, e così via.
La saga
riprende da un particolare filone dell’horror sviluppatosi
prevalentemente con il cinema: quello del living
dead,
i morti viventi, reso celebre da George A. Romero. L'intera saga di Resident Evil riprende esplicitamente la saga romeriana dei morti viventi,
con intuibili cambiamenti, molti dei quali dovuti da fattori specifici del medium, quali l'interattività.
Altri riferimenti si possono trovare in tutto quel filone horror
sviluppatosi alla metà degli anni Settanta inizio Ottanta e
che spesso cade nello splatter
horror,
mi riferisco a film come La
casa
di Sam Raimi o Non
aprite quella porta
di Tobe Hooper.
Il videogioco
prende in prestito le convenzioni essenziali di un genere per riproporle
attraverso un linguaggio differente, interattivo, con un'altra storia,
altri personaggi e altre ambientazioni. Resident Evil 4 applica perfettamente questa logica.
Bisogna però
fare una precisazione. Resident Evil 4 è un
videogioco diverso dagli altri della stessa saga, non solo sul piano della
giocabilità. Qui infatti troviamo tutti gli stilemi principali
del genere finora analizzato ma aggiornati e rinnovati. I
vecchi Resident Evil non facevano altro che mantenere quasi
invariate le ambientazioni, i nemici, i personaggi ecc. dell’horror
e riproporli in chiave giocabile, certo giochi bellissimi che hanno
portato avanti il linguaggio dei videogiochi, ma in grande parte
ancora fortemente legati ad un immaginario prettamente
cinematografico. Con questo nuovo episodio troviamo notevoli varianti rispetto ai canoni sopra descritti. Personaggi più
caratterizzati anche da un punto di vista psicologico, creature ibride (non più semplici zombie, ma "infetti"), miscuglio di
ambientazioni tra una Spagna medievale, residui di templi classici,
laboratori e strutture moderne. Si può forse dire quindi che ci troviamo di fronte a un videogioco che non emula semplicemente un
genere filmico, con tutte le differenze anche importanti che ci si
possono trovare, ma esso parte da questo genere e lo sviluppa, modificandolo nelle sue parti essenziali, più di quanto stia facendo
probabilmente la stessa cinematografia. Assistiamo dunque al tentativo di emancipazione dei videogiochi dal cinema. Di questo processo, Resident Evil 4 è un
esempio paradigmatico.
La storia
Abbiamo detto che
Resident Evil 4 appartiene a una saga in evoluzione, quindi non stupisce che
la storia sia inevitabilmente intrecciata con gli altri tre episodi
(altro elemento della frammentarietà postmoderna). Inoltre
bisogna aggiungere che il gioco, a differenza degli altri tre della
serie, è suddiviso in 5 capitoli con altrettanti sottocapitoli.
In particolare, mi soffermerò sulla storia vista attraverso il gioco
di Leon. Infatti qui si presenta la possibilità, finita la
storia di Leon, di continuare a giocare anche con l’altro
personaggio, Ada; ciò comporta un approfondimento narrativo. Molti buchi "narrativi" vengono infatti "tappati" dalla vicenda di
Ada. Questo testimonia la grande possibilità di intreccio
narrativo, molto più articolato del cinema, che si presenta
attraverso i videogiochi. Infatti questa divisione in parti,
accantonamento e ripresa del flusso giocabile narrativo (grazie
anche all’avvento delle memory card), avvicina l’esperire
la storia del videogame a quello del libro.
Veniamo alla trama.
Leon Scott Kennedy, il protagonista, riuscì a scappare da
Rakoon City sei anni prima, durante il suo primo giorno di servizio,
in cui avvenne un assedio da parte di zombie. Adesso Leon è un
agente al servizio del governo degli Stati Uniti d’America. Gli
viene incaricato di recuperare la figlia del presidente Ashley
Graham, la quale è stata rapita e portata in un luogo sperduto
della Spagna. La sua missione quindi è di riportare a casa la
figlia del presidente. Apparentemente la trama è semplice, e ricorda i film di serie b americani, il classico complotto contro la nazione
che viene sventato da un impavido e coraggioso eroe Ma con il progredire del gioco, le cose si complicano, rendendo il tutto molto più
affascinante. All’arrivo in questo villaggio sperduto egli trova
gli abitanti non solo ostili, ma estremamente strani, i quali, non
appena lo vedono, cercano in tutti i modi di ucciderlo. Queste
creature sembrano degli zombie ma allo stesso tempo non lo sono, essi
infatti corrono, parlano, ed hanno anche intelligenza, visto che
inventano sempre nuove trappole per incastrare Leon. Leon comunque
scopre che Ashley è rinchiusa dentro la chiesa del villaggio,
prima di salvarla deve però prendere la chiave della chiesa.
Dopo aver battuto il “mostro del Lago” riesce a prendere la
chiave e a liberare Ashley quindi a scappare con lei, nel frattempo
ha fatto la conoscenza di Luis Sera, apparentemente un ricercatore,
che lo aiuterà fornendogli delle informazioni su quanto stava
realmente accadendo in quel luogo. Rincorsi da molti paesani
infuriati i due arrivano al castello dominato dal piccolo Salazar.
Nel capitolo del castello si incominciano a sciogliere i dubbi sulla
stranezza di tutto ciò che accade. Man mano che si va avanti
infatti si scopre che la stranezza di tutte quelle persone è
dovuta a delle spore uscite mentre si compivano degli scavi in una
miniera. Queste spore sono in realtà degli ovuli disseccati di
un organismo parassita da lungo estinto, almeno in apparenza. Le
spore, le quali vengono chiamate les plagas (le piaghe),
entrano nel corpo, crescono, facendolo diventare un vero e proprio
mostro. Les plagas sono state usate da Lord Saddlers (il
cattivo del gioco), il quale infettato infetterà tutti gli
abitanti del luogo, tra cui anche Leon e Ashley, per avere un
controllo totale su tutti i soggetti infestati, creando così
la setta degli illuminados.
Tra eventi di vario
genere, tra cui l’incontro di mostri strani, la perdita e il
ritrovo di Ashley (in cui per un po’ il giocatore muoverà la
stessa Ashley), l’incontro con un altro personaggio, Ada Wong (già
incontrata in Resident Evil 2), la morte tragica di Sera, il
passaggio da ambientazioni medievali ad alcune quasi postmoderne, il
rincorrere Salazar in ogni parte del castello e trabocchetti di tutti
i tipi, Leon riuscirà a sconfiggere lo stesso Salazar,
trasformato in un mostro aberrante. Ashley però viene rapita e
portata su un’isola. Grazia all’aiuto di Ada, la donna fatale che
appare e scompare sempre nei momenti più propizi, Leon
raggiunge l’isola. Questa, caratterizzata da nuovi nemici militari
e luoghi che sono un incrocio tra laboratori militari e residui
classici, ha come nemico finale Lord Saddlers. Qui si aggiunge un
nuovo personaggio Krauser, vecchio collega di Leon, il quale
contagiato dalle plagas cerca di fare il doppio gioco con Lord
Saddlers.
Inutile dire che
Leon sconfiggerà sia Krauser, attraverso un bellissimo
combattimento tra le rovine di un santuario, e, recuperata Ashley nei
laboratori di ricerca per le plagas, dopo aver attraversato
una base militare piena di nemici, particolare che rende il gioco
quasi uno sparatutto, arriverà a scontrarsi con Lord Saddlers.
Questi, trasformatosi in un mostro gigantesco e orribile (come tutti
gli altri, fatto che a mio avviso rende il gioco un po’
ripetitivo), verrà infine sconfitto con l’aiuto sempre
puntuale di Ada, la quale ruberà l’antidoto a Leon e
scapperà con un elicottero. Con una fuga in motoscafo da gioco
di corse acquatico, i due si salveranno mentre l’isola sparirà
in una esplosione.
La trama è
semplice, si costituisce su una linea relativamente facile: un agente
segreto deve liberare la figlia del presidente degli Stati Uniti, la
quale è stata rapita per un complotto contro gli Stati Uniti.
Quasi tutto il cinema americano, soprattutto dagli anni ’80 in poi,
si basa su trame del genere. Ma abbiamo visto come con l’andare del
gioco le cose si compliclino: la scoperta delle manipolazioni
genetiche, l’arrivo di personaggi nuovi con un loro spessore
psicologico (anche se ancora non molto elaborato) che crea altri
collegamenti e tutte le avventure e trabocchetti immaginabili. Ma ciò
che caratterizza e che complica la dimensione narrativa sono i
rimandi intertestuali agli altri giochi della serie. Giochi di questo
genere hanno una struttura chiusa, anche se l’interazione
dell’utente fa cambiare la durata e alcuna volte la stessa storia,
la giocabilità è indirizzata in determinate coordinate
le quali portano comunque ad una conclusione del gioco. Ciò
che rende questo tipo di videogiochi (al contrario di giochi di ruolo
online che si basano su una interazione infinita tra utenti) sempre
aperti è la dimensione seriale, che il cinema ha grandemente
ripreso dai videogiochi. La serie comporta infiniti rimandi tra i
personaggi e le azioni e inevitabilmente, per avere una conoscenza
globale delle vicissitudini, occorre giocare agli altri numeri della
serie. Il cinema è irreversibilmente influenzato da questa
struttura, tipica del videogioco. Nel caso particolare che si sta
analizzando i rimandi narrativi sono dovuti principalmente a Leon e
al personaggio di Ada, la quale lavorando per l’Umbrella
cooperative (causa di tutti i guai dei precedenti Resident
Evil), rimanda ad una infinità di elementi degli altri
numeri della serie, per esempio Ada è un’agente
dell’Umbrella la quale si vede in Resident Evil 2, ma
uno dei protagonisti di quest’ultimo gioco è Clair sorella
del protagonista del primo numero della serie insieme a Jill Valentie
protagonista anche del terzo episodio e così via.
Nel gioco che si sta
analizzando la trama è portata avanti da diversi fattori:
primo fra tutti le cut
scene.
“Le cut
scene
– dette anche cinematics
o in-game
movies
– sono sequenze animate non-interattive che incorniciano,
inframmezzano o si alternano ai momenti di interazione vera e propria
di un videogame”,
esse sono ovviamente ciò che avvicina di più il cinema
ai videogiochi, essendo esse puramente rappresentative. Inoltre sono
anche l’elemento fondamentale per portare avanti una narrazione,
come dice anche Klevjer: “Le cut
scene
rappresentano uno strumento efficace per veicolare le componenti
narrative: l’uso di codici audiovisuali (anziché puramente
verbali) rende la fruizione più coinvolgente o, per lo meno,
spettacolare.”
Le cut
scene
si possono dividere in tre tipi, seguendo la distinzione fatta da
Bittanti: cut
scene
con riprese dal vivo, cut scene animate, le quali si possono dividere
in quelle in
game
e pre-rendered,
e cut scene interattive. In Resident
Evil 4
non sono presenti le cut
scene
del primo tipo, quelle con riprese dal vivo. Il gioco infatti fa
grande uso in particolare delle cut
scene
pre-rendered
(delle cut
scene
interattive parleremo più avanti): “Le cut
scene
pre-rendered,
sono sequenze animate renderizzate dagli sviluppatori sfruttando
tecniche come la computer
graphics
o la cel
animation”.
Questo
tipo di cut
scene
ha sicuramente una grafica migliore ma ha dei limiti, infatti essendo
composte in precedenza non prendono atto dei cambiamenti che
avvengono durante il gioco, si presentano allora situazioni in cui il
protagonista acquista un’arma nuova o un nuovo vestito e
nell’animazione questi particolari spariscono. Ciò comporta
uno stacco forte con l’immersione videoludica tramite un effetto di
irrealtà dovuto alla troppa differenza tra la fase interattiva
e quella rappresentazionale. Tutto questo crea una “dissonanza
cognitiva” (Bittanti) nel giocatore. Quasi tutte le cut
scene
del gioco sono di questo tipo e costituiscono l’elemento principale
nel portare avanti la narrazione. Alle cut
scene in game,
le quali
“sono renderizzate in tempo reale dal motore di gioco e come tali
non presentano differenze cosmetiche significative rispetto alle
componenti procedurali”,
sono relegati piccoli compiti come il ritrovo di un oggetto.
Altro fattore
narrativo sono sicuramente i pezzi di diari sparsi durante il gioco.
Questi sono dei fogli che si trovano sporadicamente durante il
percorso i quali, essendo composti in frammenti e avendo una forma da
diario, costituiscono un approfondimento della trama. In particolar
modo essi sono usati principalmente per la spiegazione delle parti di
laboratorio o per le mutazioni genetiche, insomma per tutto ciò
che riguarda la parte di trama sottostante agli eventi personali dei
personaggi. Essi non aggiungono nulla di importante alla narrazione
ma tendono ad approfondirla. Inoltre una volta trovati vengono presi
dal giocatore e portati sempre dietro, sono analizzabili in qualsiasi
momento.
Un ultimo elemento
che mi sembra importante sottolineare, sempre da un punto di vista
della narrazione, sono i collegamenti via radio prima con Hunnigum,
poi con Salazar e Lor Saddlers. Questi hanno una utilità
prettamente funzionale, informano cioè sugli eventuali
pericoli e sulle azioni da fare, inoltre danno informazioni sullo
stato di consapevolezza del personaggio: Leon informa regolarmente
Hunnigum su ciò che ha scoperto.
La parte giocabile
non ha valenze narrative anche se ovviamente i vari cambiamenti
annunciati dalle cut scene, dai diari o dalle comunicazioni via
radio, hanno poi un riscontro oggettivo nell’interattività.
Per esempio mutazioni genetiche lette in precedenza su un diario si
verificano man mano che si uccidono i nemici i quali si trasformano
sempre di più, oppure miniere sentite nominare in una
animazione si vediamo nel momento in cui ci arriviamo giocando e così
via.
Prima di concludere
bisogna però fare una distinzione tra narrazione
cinematografica e videoludica: “In un contesto filmico, la
sceneggiatura rappresenta un punto di partenza irrinunciabile, mentre
nel caso del videogame, la cosiddetta “storia” e’ spesso
un’appendice, un “extra” che si aggiunge in corsa. In numerosi
videogiochi, l’elemento narrativo viene cioè “appiccicato”
in modo piu’ o meno efficace a una nuova tecnologia, a un nuovo
engine, a nuovo un "effetto speciale".
Un film si basa su una storia, un videogioco si basa su una
interattività che può assolutamente prescindere da
qualsiasi tipo di dimensione narrativa. Si tratta di una differenza
fondamentale che non fa altro che attestare quanto sia stato grande
l’influsso del cinema in videogiochi come Resident
Evil 4.
I personaggi
Vediamo ora di
analizzare i personaggi del gioco. Leon (il protagonista), Ashley (la
coprotagonista), Ada (deuteragonista) e Luis Sera (altro
deuteragonista), sono i personaggi principali inquadrabili sotto
l’etichetta “buoni”. Poi ci sono i “cattivi”: Lord Saddlers
(antagonista), Salazar (secondo antagonista), Bitores Mendez capo del
villaggio (cattivo secondario), John Krauser, ex marine e ex collega
di Leon, e gli Illuminados, i nemici più comuni, dai contadini
ai militari. Questi i personaggi che svolgono un ruolo principale
all’interno del gioco. Si possono aggiungere Hunningum, il contatto
via radio, Mike, l’uomo nell’elicottero verso la fine del gioco,
e poi tutti gli altri nemici, come il mostro del lago ecc.
Lo sviluppo sempre
più veloce dei videogiochi ha portato anche ad uno sviluppo
dei personaggi. Essi infatti hanno assunto sempre più
spessore, particolare che li fa staccare dall’ambito puramente
funzionale del gioco. I personaggi si sono dotati man mano di
atteggiamenti, punti di vista sulle cose, espressioni, che li hanno
denotati caratterialmente e psicologicamente. Siamo comunque ancora
ad una fase abbastanza primitiva, essi sono ancora estremamente
legati alla funzionalità del gioco, in più sono ancora
abbastanza banali, rimandano spesso a piatti stereotipi tipici del
cinema, e, per finire, la caratterizzazione di solito riguarda solo i
personaggi principali. Resident Evil 4 ha dei buoni personaggi ma
forse ancora troppo legati ad un immaginario cinematografico, il
discorso fatto prima a proposito del genere credo non si possa
applicare ai personaggi.
Leon è il
protagonista del gioco. E’ bello e impavido, ironico con i nemici,
esperto nel tirare e così via, rimanda possiamo dire alla più
comune figura di eroe che conosciamo. Ma anche in questo caso ci può
essere d’aiuto la serialità. Se si pensa alla prima
apparizione di Leon, in Resident Evil 2, in cui egli era un
novellino, appena uscito dall’accademia di polizia, idealista, il
personaggio acquista una rotondità maggiore. Si può
dire che il suo sviluppo, attraverso i vari numeri della serie, porti
ad un accrescimento sia di informazioni su di esso sia di un maggiore
valore affettivo che trascende il piatto stereotipo. Il cambiamento
del personaggio nel corso dei giochi, anche se si inquadra dentro
etichette, porta ad un superamento di queste in quanto il cambiamento
crea più spessore sia caratteriale che psicologico.
Per quanto riguarda
gli altri “attanti” le cose a mio avviso non stanno così.
Ada rimane la stessa famme fatale del gioco precedente. In
questo caso il personaggio non subisce cambiamenti evidenti, inquadra
un tipico cliché: la femme fatale che appare
sempre nei momenti più propizi, ironica, intelligente,
incontrollabile, bella, fascinosa e doppiogiochista.
Ashley è la
tipica bambina viziata, figlia del presidente degli Stati Uniti,
abbastanza odiosa all’inizio del gioco, anche se man mano che si va
avanti assume toni più pacati.
Luis Sera è
un personaggio interessante, anche lui bello e ironico, (cappelli
lunghi e vestiario stile cow boy moderno, particolare che stona forse
troppo con il suo lavoro di ricercatore) appare e scompare durante il
gioco. Interessante è l’aura di mistero che lo circonda in
quanto la maggior parte delle informazioni su di lui provengono non
da lui stesso ma da altre fonti.
Tra i “cattivi”
trovo singolare Salazar. Un nanerottolo cattivo e viziato. E’
vestito da principe settecentesco e si comporta come un bambino.
Originale l’incrocio tra antico e moderno denotato anche dal
vestiario di Salazar.
Lord Saddlers è
il tipico cattivone dei videogiochi. Incappucciato, vestito con una
lunga tunica viola, ha per bastone l’estensione, dovuta dalle
plagas, del proprio corpo. E’ in maniera impressionante
somigliante all’antagonista di Guerre Stellari.
I personaggi più
innovativi sono, a mio avviso, gli Illuminados, in particolar modo i
contadini. Si staccano da qualsiasi Resident Evil precedente, essendo
un incrocio tra posseduti e zombie. Essi corrono, parlano, inventano
trucchetti sempre nuovi. Inoltre appena li si incontra fanno dei
semplici lavori da contadini, come se fosse tutto normale, ma poi
spiazzano nel momento in cui vedono Leon e gli corrono addosso
urlando. Sono inoltre difficilmente inquadrabili entro qualsiasi
stereotipo cinematografico.
John Krauser è
il marine vecchio compagno di Leon, collabora con Ada anche se i due
non si amano troppo. Due saranno i combattimenti contro Krauser,
probabilmente i più belli del gioco, il primo totalmente in
cut scene interattiva, il secondo nei resti di un santuario
tra trabocchetti e tattiche da inventare.
Piccolo accenno
vorrei fare al personaggio di Mike. Questi appare verso la fine del
gioco in elicottero per aiutare Leon ad uccidere molti nemici. Non si
vede mai e ha un arco di esistenza breve, verrà ucciso molto
presto da un bazuca. Ciò che lo rende interessante è lo
scambio di battute tra i due personaggi, capiamo che sono vecchi
amici e che c’è un certo valore affettivo tra i due. Tutto
ciò ci fa affezionare al personaggio di Mike e, anche se egli
non appare, al momento della sua morte si prova un certo dispiacere.
Il setting
Di particolare
rilievo sono le ambientazioni. Trovo che in questo gioco esse siano
ben elaborate ed originali. Riescono cioè a staccarsi dalle
più classiche ambientazioni del genere arrivando addirittura
ad aggiungere delle note innovative, probabilmente più della
stessa cinematografia. L’elemento caratterizzante è il
continuo miscuglio, soprattutto di tempi, intesi come ere, diverse.
Questo è particolarmente visibile nella terza parte del gioco,
quella dell’isola.
Il gioco è
ambientato in uno sperduto posto della Spagna. All’arrivo del
protagonista ci troviamo catapultati in un’altra epoca. Villaggi
arcaici costituiti da capanne in legno, pozzi, fienili, contadini
vestiti rozzamente in uno stile medioevale. Ci sembra insomma di
essere in un mondo antico, sperduto, perso nel tempo. Lo stesso
villaggio è costituito da una piazza principale, in cui impera
la chiesa, e su cui si evolve tutto il resto dell’abitato, una
struttura tipica del villaggio medioevale. Quasi tutta la prima parte
sarà influenzata da un’ambientazione del genere. Si
aggiungano poi le atmosfere cupe, dominate da un cielo nuvoloso e
dalla pioggia. Largo uso di spazi aperti (diverso dagli altri numeri
della serie i quali preferivano un uso degli spazi chiusi). Sempre in
questa prima parte assistiamo a degli elementi che ci discostano da
quest’aria di dispersione nel tempo. Vediamo infatti che in alcuni
luoghi si trovano dei macchinari estremamente tecnologici, funivie,
centraline elettriche, spesso ubicate accanto agli stessi edifici
antichi. Questo comporta uno straniamento dovuto dall’impossibilità
di inquadrare l’epoca storica: ci troviamo in un presente
differito. Ci troviamo in quella che si potrebbe chiamare “atmosfera
da Medioevo”. L’aura di mistero è dovuta anche dal fatto
che in tutto l’arco del gioco non ci viene mai spiegato il motivo
per cui i contadini vivano in questo modo.
La seconda parte è
interamente giocata all’interno del castello di Salazar. Il
castello, da tipico paesaggio medievale, si erge sopra la collina di
fronte al villaggio. Gli abitanti del luogo sono ancora delle
creature particolari vestite con tuniche lunghe fino ai piedi e sono
incappucciati, fatto che crea una clima ancora più cupo e
misterioso. Anche il castello soggiace alla stessa logica del
miscuglio, ma in maniera diversa. Qui non siamo più di fronte
a quella “atmosfera da Medioevo”, ma invece abbiamo dei veri e
propri stili di epoche, riconoscibili, accatastati l’uno contro
l’altro. Il castello è tipicamente medievale, all’interno
si passa da stanze in stile barocco a altre in stile rococò,
bellissime stanze gotiche, i dipinti alla parete sono ben
riconoscibili, la “Primavera” di Botticelli (tra il 1477 e il
1490), la “Scuola di Atene” di Raffaello (tra il 1509 e il 1511),
ci sono anche dipinti in tipico stile manierista, per non parlare dei
vasi e dei mobili. Lo stesso Salazar è vestito in stile
Settecentesco. Nelle fogne invece ci sono laboratori estremamente
tecnologici. Le epoche accostate sono molte ma sono tutte ben
definibili, ogni stanza, anche se composta da più generi, è
comunque inquadrabile in un’ epoca. Il referente quindi è
comunque verificabile.
Non accade questo
nella terza parte, quella dell’isola, la quale è dominata da
un completo intrecciarsi di stili ed epoche differenti negli stessi
posti, c’è un perdita completa del referente. Non si possono
più distinguere le ere e le epoche in quanto sono totalmente
miscelate tra di loro, fatto accentuato dai i nemici sono ora dei
militari.
Si potrebbe quasi
dire, banalizzando, che nel gioco si passa attraverso le tre
categorie che caratterizzano l’analisi storico-culturale: realismo,
moderno e postmoderno. La prima parte caratterizzata da un periodo
più o meno riconoscibile, la seconda da un incrocio di stili
ed epoche diverse ma ben definite, attraverso anche opere molto
importanti per la storia dell’arte, e la terza in cui ormai domina
una estetica dell’ibrido e una perdita del referente,
caratteristiche tipiche della postmodernità.
La forma
In questa parte si
analizzeranno tutti quegli elementi che caratterizzano la forma, le
strategie estetiche utilizzate nel gioco, specificando sull’influenza
del cinema.
Partiamo
dall’orientamento. Nel cinema esso è dato dal posizionamento
della MDP in uno spazio deciso dal regista, nei videogiochi
l’orientamento viene determinato dal movimento del personaggio
nello spazio, movimento dovuto all’interazione: “Lo spettatore in
un film è come il passeggero di un’ automobile: osserva il
“panorama” in modo piuttosto distratto perché non è
costretto ad orientarsi in esso. Il giocatore di videogame, al
contrario, è a tutti gli effetti il pilota del veicolo e se
non riesce a costruirsi una rappresentazione mentale sufficientemente
esauriente dell’ambiente che “lo” circonda, rischia di perdersi
o comunque di procedere in modo incerto.”
L’orientamento nei videogiochi soggiace quindi a logiche di
funzionalità.
Date queste
differenze fondamentali andiamo più nello specifico. I
videogiochi si sono spesso dotati di tecniche profondamente
cinematografiche per creare emozioni di vario genere (suspence,
paura, attesa e così via), in particolar modo giochi come
Resident
Evil,
che proprio per questi motivi sono stati chiamati “videogiochi
cinematografici”. Come dimostra eccellentemente Fraschini,
analizzando una sequenza di Resident
Evil 2,
il giocatore diventa coregista in quanto fa cambiare la posizione
della MDP virtuale in base agli spostamenti prodotti dal movimento
del personaggio. Inoltre la posizione della MDP è studiata,
prendendo strategie tipiche del genere horror,
per creare un effetto di suspance,
c’è quindi un utilizzo consapevole per creare effetti di
angoscia o terrore. Tutti i Resident
Evil
fino al terzo numero sono costruiti in modo determinato: i personaggi
agiscono all’interno di “inquadrature” fisse. La ripresa è
fissa, lo spazio è dato, e il personaggio agisce all’interno
di questo spazio. In Resident
Evil 4
ci sono dei cambiamenti essenziali, che tra l’altro hanno fatto
infuriare molti di fan. Nel gioco il personaggio è inquadrato
da dietro, sotto la spalla, e la MDP segue tutti i movimenti del
personaggio, questa tipologia di videogame viene definita gioco in
“pseudo soggettiva”. Ci allontaniamo quindi dai videogame
cinematografici, per avvicinarci a giochi improntati più
sull’azione del tipo di Tomb
Rider.
In giochi di questo genere l’orientamento non pone troppi problemi,
in quanto si ha il controllo sia del personaggio che della MDP. E’
il giocatore che decide dove inquadrare, diventando così una
specie di “regista improvvisante”. Certo il gioco ha un sistema
di controllo in character
relative, riferito
al personaggio (i comandi rispondono ai movimenti del personaggio,
diverso dallo screen
relative),
quindi a muoversi è il personaggio, ma la MDP lo segue, in
ogni movimento che egli fa. Per riuscire ad orientarsi e vedere per
esempio cosa c’è alla destra dell’eroe ci si deve girare:
si girerà allora anche la MDP.
Tra l’altro è possibile fare dei piccoli spostamenti della
MDP per avere una visuale maggiore, nei momenti in cui si mira contro
un nemico si effettua un veloce zoom verso l’arma per avere una
migliore visibilità e accelerare il gioco, il centro
dell’inquadratura è sempre l’arma. Nella parte giocabile
vengono così perse molte strategie utilizzate dai precedenti
numeri della serie, strategie, come abbiamo detto, totalmente riprese
dal cinema. Vengono a perdersi quindi quegli effetti di paura e
terrore tipici degli altri capitoli. Il gioco si fa allora molto più
dinamico e veloce: il coltello può essere estratto in
qualsiasi momento, diventa così un’ arma veloce ed efficace,
si possono dare calci e fare mosse particolari, i tempi di
caricamento sono ridotti al minimo, gli stessi indovinelli vengono
molto facilitati, anche questo per non perdere la dinamicità
del gioco. Gli altri capitoli erano per lo più basati su fasi
di esplorazione e risoluzioni di enigmi, inoltre la scarsa
disponibilità di munizioni e cure mediche rendeva il gioco
molto più “riflessivo”.
Le cut scene,
per ovvi motivi, sono ciò che avvicina di più il cinema
ai videogiochi. Essendo esclusivamente rappresentative esse portano
avanti la storia, attraverso un linguaggio totalmente ripreso dal
cinema. Esse nascono negli anni Ottanta con lo sviluppo dei
videogiochi sia da un punto di vista grafico che narrativo. Più
i videogiochi miglioravano più il rapporto con il cinema si
intensificava. Così le cut scene hanno man mano
utilizzato le strategie spettacolari del cinema, in particolar modo
del cinema hollywoodiano.
Per avere un quadro
più preciso di come nelle cut scene si usi un
linguaggio cinematografico analizzerò una sequenza del gioco,
in particolare quella relativa al primo incontro di Leon con Lord
Saddlers nella chiesa del villaggio. La scena ha una durata di poco
più di due minuti, una durata media per le animazioni. Si
inizia con un campo largo dall’alto spostato verso destra che
inquadra i due personaggi, Leon e Ashley, i quali entrano correndo da
destra in fondo alla sala. La musica cambia, si fa intensa e
misteriosa. La MDP virtuale scende, come un dolly, fino a far
intravedere Lord Saddlers di spalle, il quale sta entrando anch’egli
da destra ma dalla parte opposta dei due protagonisti. Senza che il
dolly a scendere si blocchi la scena viene tagliata (questo per dare
più movimento) facendo vedere il controcampo. Adesso Leon è
in campo medio di spalle e in fondo c’è Lord Saddlers, anche
questa volta l’inq. non è simmetrica centrale ma è
spostata verso destra. Leon chiede a Saddlers chi sia mentre questi
risponde c’è un movimento dal basso verso l’alto sulla sua
figura e il movimento si ferma sul volto. Si instaura così un
dialogo tra i due e quindi una serie di campi e controcampi, prima su
Leon e Ashley, poi su Saddlers. Dopo un carrello da sinistra verso
destra dietro Saddlers, carrello che dà emotività alla
scena, egli comunica ai due che ha infettato Ashley. Controcampo
sulla faccia stupita di Ashley e quindi una breve sequenza del
passato, dell’infettamento di Ashley. Questa sequenza è
molto breve ed è composta da tre inq. veloci, la prima
dall’alto di Ashley priva di sensi e legata, la seconda di
Saddlers che sta per iniettare il veleno e la terza di Ashley di
profilo che viene infettata. Tre scene legate tra loro con un
montaggio veloce in cui ad ogni stacco si sente un rumore che
intensifica l’azione e enfatizza lo stacco. Si riprende su Ashley
come se fosse lei a ricordare, poi la MDP si sposta su Leon stupito.
Si prosegue con una inq. dall’alto apparentemente ferma ma che in
realtà produce lievi movimenti. Poi l’azione prosegue con il
dialogo e quindi con una serie di campi e controcampi. Qui è
Saddlers che porta avanti la scena in quanto è lui a spiegare
l’accadimento. La MDP è pronta a sottolineare, enfatizzare,
l’azione. Vediamo infatti che i controcampi su Saddlers non sono
mai uguali: prima è frontale, poi di lato ed infine da lontano
con uno zoom lento verso il viso. Quelli dei due protagonisti invece
variano solo lievemente in quanto hanno una funzione principalmente
di ascolto, anche se reagiscono con stupore alle parole del cattivo.
Si arriva così ad un campo medio su Leon e Ashley con dietro
ben visibile la porta, questo perché tra poco arriveranno due
nemici incappucciati. Ora l’azione si fa molto più veloce.
Ecco che i due aprono velocemente la porta e una veloce inquadratura
li fa vedere di lato mentre prendono la mira con delle balestre
infuocate. Veloce primo piano sulla faccia di Saddlers che sorride,
poi su Leon che si gira verso Ashley, particolare sulla mano di Leon
che prende quella di Ashley, poi la fuga. Inq. dalle balestre dei due
nemici e dalle frecce che partono e si vanno ad infilzare nella
colonna. Poi si vede la finestra, da fuori la chiesa, e Ashley e Leon
che rompono la finestra saltando fuori. L’azione continua altri
trenta secondi con i due che si scambiano brevi battute e scappano.
Tale animazione
coagula sia un dialogo apparentemente statico, ma denso di emozioni e
spiegazioni, sia una azione dinamica di pericolo e fuga. Il dialogo è
apparentemente statico ma abbiamo visto come in questo caso a dare
vera enfasi e importanza alle parole di Saddlers sia un linguaggio
prettamente cinematografico ben studiato. I lievi movimenti o lo
spostamento della MDP virtuale sui campi e controcampi nascondono una
conoscenza e una ricerca degli effetti della forma cinematografica.
Si veda anche l’improvvisa dinamizzazione della scena nel momento
del pericolo. Esempio importante è l’introduzione
esplicativa del ricordo del passato durante la conversazione. E’
una scena corta che non aggiunge nulla a quello che sta dicendo
Saddlers, ma serve a dare maggiore enfasi, a farci entrare ancora di
più nella tragedia, quella appunto dell’infettamento di
Ashley. Inoltre si noti come l’uso della musica è studiato
apposta per rendere misterioso il tutto, in quanto il ruolo di questo
tratto è quello di svelare dei misteri importanti prima
dell’inizio di un’altra fase di gioco. A differenza della parte
giocabile in cui, la musica è un semplice sottofondo o svolge
delle piccole funzioni come accentuare una scena di pericolo e così
via, nelle animazioni invece essa assume un rilievo maggiore.
Altro elemento che
differenzia questo capitolo è la ripresa consapevole di vari
“generi” dal mondo dei videogame. Vengono usati diversi criteri
di gioco presi da tipologie di videogame diversi: sparare da una
superficie in movimento ai nemici appostati, tipico del gioco di
precisione, scontri con i nemici in interactive cut scene (queste
non erano presenti negli altri numeri della serie, hanno anche la
funzione di dinamizzare la giocabilità), enigmi da risolvere,
veri e propri indovinelli da videogioco di ragionamento
(caratteristica presente anche negli altri Resident Evil), la
corsa in motoscafo finale da tipico gioco di corse e, per concludere,
si possono notare delle vere e proprie stanze, staccate dal resto del
gioco, in cui è possibile praticare alcuni esercizi, come il
tiro a segno, guadagnando così punti in più. C’è
un superamento quindi dei confini, un superamento consapevole che
porta a nuove forme di videogiochi, sempre più elaborate. Uno
sconfinamento quindi che è l’ennesima testimonianza
dell’evidente crescita del mondo dei videogiochi, una crescita
importante in quanto testimonia il rischio che si corre a non
prendere sul serio il cambiamento che questa nuova forma di
rappresentazione (anche se è riduttivo puntare l’accento
solo sulla rappresentazione) sta portando.
Bibliografia
essenziale
Note
E’ diverso dai giochi in soggettiva, come Doom,
perché qui la MDP è il personaggio quindi il giocatore
muove solamente il personaggio, non c’è una vera differenza
tra MDP e avatar.
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