Sul Corriere del Ticino, Olivier Broggini discute di videogame, cultura e isteria mediatica con Matteo BIttanti. Il pretesto e', ancora una volta, Grand Theft Auto IV.
Ecco un estratto:
Broggini: Mi metto nei panni del genitore standard spesso raffigurato dai media: cosa mi risponde se le dico che mio figlio 13enne passa i suoi pomeriggi davanti a GTA IV, e che per questo io temo di vederlo presto gettare sassi da un cavalcavia?
Bittanti: In primo luogo, GTA IV si rivolge a un pubblico adulto e maggiorenne, come si evince chiaramente dall’indicazione PEGI sulla copertina e sul retrocopertina. Ovviamente, se un genitore ritiene che il figlio tredicenne sia sufficientemente maturo per comprendere il portato satirico di GTA IV, va benissimo: si tratta appunto di indicazioni al consumo, non di prescrizioni. Sarebbe utile, tuttavia, che certi videogiochi venissero fruiti in modo intelligente. Il videogame non e’ una baby sitter elettronica, ma una forma d’arte che si rivolge a pubblici differenziati. Un adulto dovrebbe svolgere la funzione di mentore e di guida nei confronti dei propri figli, contestualizzando alcuni aspetti grotteschi o ‘eccessivi’ di alcuni testi particolarmente pregni di significati. I videogame non sono differenti dal cinema, dalla televisione o dalla letteratura: in tutti i casi, un approccio critico e maturo e’ fondamentale per evitare corto-circuiti epistemologici. In merito al presunto effetto ‘transfer’ – la teoria secondo la quale la ripetizione di atti violenti in un contesto di simulazione provocherebbe alienazione, narcosi e desensibilizzazione in soggetti facilmente influenzabili, al punto da spingerli a ripetere atti analoghi nel ‘mondo reale’ e’ stata piu’ volte smentita sul campo. Inoltre, i fatto che a fronte di un consumo sempre piu’ intenso di videogiochi sia accompagnato da un calo generalizzato della violenza giovanile nelle nazioni tecnologicamente piu’ avanzate dovrebbe far pensare. A questo proposito, consiglio la lettura dell’ottimo saggio Grand Theft Childhood (2008) di Lawrence Kutner e Chryl Olson, che porta in primo piano le profonde contraddizioni sottese all’isteria mediatica di questi giorni.
Broggini: Mi sembra chiaro come lei non attribuisca ai videogiochi il potere di traviare le coscienze. È però vero che la raffinatezza tecnica sempre maggiore e il coinvolgimento diretto del fruitore sono una miscela molto potente: non a caso, le polemiche sui videogiochi violenti hanno vissuto un salto di qualità più o meno da un decennio, con lo sviluppo della grafica tridimensionale…
Bittanti: Mi chiedo allora perche’ l’opinione pubblica si dimostri apatica e indifferente di fronte a opere decisamente ambigue come i film di Eli Roth e Rob Zombie – o persino Funny Games di Micheal Haneke - o a romanzi come American Psycho di Bret Easton Ellis o Zombie di Joyce Carol Oates, reperibili facilmente in qualunque bookstore o mediastore. L’idea che l’interattivita’ renda il videogame piu’ ‘pericoloso’ di altri media e’ un’altra leggenda metropolitana priva di alcun riscontro scientifico. La storia dei media insegna che ogni nuova tecnologia e ogni nuova forma di comunicazione viene inizialmente demonizzata e ostracizzata. E’ successo al romanzo, ai fumetti, al cinema, alla musica rock e succedera’ ai media che emergeranno nei prossimi anni. Niente di nuovo.
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Mi è piaciuto moltissimo, complimenti a te e anche l'intervistatore. Una "presa di difesa" non di GTAIV, ma di quello che realmente può offrire il videogioco.
Scritto da: Mario Morandi | 19/06/08 a 01:38