Videogame e film presentano numerose analogie, ma anche differenze profonde. In questo speciale in due parti esaminiamo alcuni elementi del linguaggio cinematografico ravvisabili nei videogiochi, le cut scene. Il tema di questa seconda parte: le implicazioni narrative ed estetiche delle cut scene.
1.1 La funzione della cut scenes
Nell’articolo “Cutting Cut Scene or How To Stay Under 5 CDs and Still Have a Fun Game”, Ben Calica (1998) sottolinea che la funzione delle cut scene varia considerevolmente a seconda della loro collocazione nel testo videoludico. In particolare, l’autore parla di cut scene “pre-testuali” (starters), “intra-testuali” (in-betweeners) e “post-testuali” (ending). Nel primo caso, le cut scene corrispondono a un’introduzione animata di durata variabile (dai “tre ai dieci minuti”). Calica elenca quattro funzioni: “plot” (cut scenes che forniscono informazioni relative al “racconto” del gioco, cfr. Command & Conquer), “back-story” (forniscono al giocatore informazioni in merito al contesto narrativo e al pre-testo del gameplay, cfr. Myth), “action” (illustrano esempi del gameplay e, come tali, sono una sorta di tutorial non interattivo, cfr. MechWarrior) e “mood” (creano un’atmosfera, cfr. Diablo II o Starcraft).
La funzione delle cut scene intra-testuali è invece duplice: retributiva – quando premia il giocatore per i suoi successi virtuali e narrativa – quando fa progredire la trama del gioco. Nel primo caso, la cut scene può mostrare la sequenza della morte di un antagonista particolarmente ostico dopo un lungo duello. Nel secondo caso, la cut scene fornisce al giocatore indizi/informazioni utili per i momenti successivi dell’inter-azione. Calica indica inoltre tre errori ricorrenti delle cut scene: ripetizione, incongruenza estetica (tra le sequenze procedurali e quelle non-interattive) ed eccessiva durata. A questi, Schnitzer (2003) aggiunge i limiti cosmetici delle cut scene stesse, osservando che esse sono spesso penalizzate da “tagli caotici e non necessari”, “movimenti di macchina schizoidi”, “plateali violazioni delle regole elementari del linguaggio cinematografico”, “ridondanze”, “totale indifferenza nei confronti di filtri e lenti” e “scarsa attenzione alle regole di continuità”. Rispetto a Calica, Schnitzer sottolinea l’efficacia promozionale delle cut scene, ovvero la loro efficacia come veicolo di “marketing”, specie durante le presentazioni ufficiali di un videogame ai giornalisti e al pubblico. In questi casi, la cut scene diventa una sorta di trailer e di spot: una comunicazione breve, ma incisiva, altamente spettacolare anche se non necessariamente fedele al prodotto “finale”.
La definizione di Hugh Hancock (2002) è ancora più dettagliata:
[Le cut scene] servono ad accrescere il realismo del mondo videoludico – non solo raccontando una storia, ma reagendo al giocatore, mostrandogli le conseguenze delle sue azioni su quel mondo e quindi rendendo tale mondo più reale e le sue azioni più significative. La cutscene è sia preludio che epilogo: mostra al giocatore il mondo che sta per esplorare, gli obiettivi da raggiungere e gli avversari che dovrà fronteggiare e, alla fine, mostra gli effetti delle sue azioni, positive o negative, su quel mondo (Hancock 2002).
Hancock tuttavia critica la scelta di ricorrere alle cut scene per i dialoghi – dato che esse riducono l’investimento emotivo dell’utente, creando una frattura netta con le fasi interattive – e per l’assegnazione al giocatore di nuovi obiettivi – il cosiddetto “mission briefing”. Assai più efficaci sono le cut scene che creano un’atmosfera o che premiano il giocatore dopo una performance particolarmente brillante; che introducono importanti, elementi della trama e del gameplay che anticipano elementi a venire (cfr. Final Fantasy VII), che definiscono il ritmo ludico e che celebrano eventi significativi, come la perdita di un compagno.
1.2 Per una teoria delle cut scene
Il ruolo delle cut scene è un tema che ricorre frequentemente nelle discussioni accademiche, giornalistiche e tecniche. Per quanto le posizioni siano divergenti, è legittimo affermare che la maggior parte dei giocatori e dei critici specializzati non le amino particolarmente. Per esempio, in un caustico articolo su Slate intitolato “Oughtta Stay Out of Picture”, Clive Thompson (2005) scrive che “più i videogame si avvicinano ai film, meno sono giocabili”. Le cut scene “promuovono la passività”, lamenta Thompson, perché “obbligano l’utente a smettere di giocare”. Il giornalista conclude che “i videogiochi sono efficaci non quando emulano passivamente il cinema, ma quando prendono a prestito [alcuni elementi] dell’urbanistica e dell’architettura”. Analogamente, il giornalista e scrittore Steven Poole (2001) critica la pervasività delle cut scene in successi commerciali come Metal Gear Solid 2 e Silent Hill 2:
[Le cut scene] ci ricordano che il videogame finisce spesso per pestare i piedi al cinema, suo rivale multimediale della vecchia guardia, un rivale al tempo stesso snobbato e invidiato. Esse inoltre mostrano chiaramente la profonda differenza che sussiste tra un film e un videogame. Ci costringono ad assistere impotenti a dialoghi risibili, a sceneggiature di serie B e ai movimenti legnosi di personaggi digitali che sembrano delle comparse di un episodio di Thunderbirds. Osservare il nostro personaggio mentre pronuncia frasi melodrammatiche, se non addirittura stupide, finisce per annullare la nostra immedesimazione nel testo (Poole, 2006).
Poole critica inoltre il fatto che numerosi videogame – in particolare l’osannato Metal Gear Solid 2 – facciano ricorso ai sottotitoli nelle sequenze non-interattive e che tale scelta stilistica sia imposta e non negoziabile. Il suo commento trova eco nelle parole del game designer Jordan Mechner (2006), autore del seminale Prince of Persia. In un articolo pubblicato su Wired, Mechner ci ricorda che “la logica sottesa alla narrazione cinematografica è completamente diversa da quella videoludica [...] Le cutscene cinematiche svolgono una precisa funzione all’interno dei videogame. Ma non sono certo il motore capace di far progredire la storia. I momenti cruciali, gli alti e bassi emotivi, i colpi di scena vanno giocati, non guardati”. Lo stesso Paul Anderson, regista degli adattamenti cinematografici di Resident Evil e Mortal Kombat, ha dichiarato:
I videogiochi incorporano sequenze animate che sembrano dei film, il che spiega la ragione per la quale chi non ha grande dimestichezza con il medium afferma che [film e videogame] siano la stessa cosa [...] In realtà, il videogiocare e l’interazione rendono i videogame essenzialmente differenti dai film. Non riesco a capire per quale motivo si insista nel voler combinare le due cose (Anderson, cit. in. Gaudiosi 2007).
Non tutti la pensano così. Secondo il giornalista Stephen Totilo (2007), i momenti procedurali non sono necessariamente antitetici a quelli rappresentazionali. In un interessante scambio epistolare con N’Gai Croal di Newsweek, Totilo cita alcuni casi (Star Wars: Knights of the New Republic, Silent Hill 2 e Killer 7) in cui le cut scene svolgono una funzione essenziale ai fini del gameplay. Riportiamo un passaggio significativo:
Nella scena finale [di Silent Hill 2], quando il giocatore scopre le ragioni della morte della sua amata, improvvisamente perde il controllo dell’avatar. O meglio, l’unica azione che possiamo eseguire è percorrere un lungo corridoio. Mentre camminiamo, la voce narrante recita una lettera scritta dalla nostra consorte che spiega in modo struggente le ragioni dietro al suo suicidio. In questo frangente, non possiamo fare dietrofront. Non possiamo nemmeno modificare la cadenza della lettura. Possiamo solo reagire con sorpresa alle sue parole (questo finale mi ricorda quella scena di Metal Gear Solid 3 [...] in cui Snake si arrampica lentamente su un dirupo, un’arrampicata che il Team Kojima ha reso deliberatamente tortuosa in modo da trasformare questa situazione in una lunga sequenza musicale) (Stephen Totilo, 2007).
Analogamente, nel seminale saggio “In difesa delle cut scene” incluso in Schermi interattivi, il teorico Rune Klevjer (2008) afferma che le cut scene sono una componente essenziale del videogame, non accessoria, in quanto “rappresentano una dimensione integrale dell’esperienza configurativa”. Secondo Klevjer, “una cut scene non è mai interamente cinematica, a prescindere dal modo in cui viene implementata. Essa infatti produce, per sua natura, un’alterazione del ritmo del gameplay”. Inoltre, essa contestualizza e giustifica il gameplay per mezzo di una narrazione a-ludica:
La progettualità narrativa fa da trait d’union delle differenti pratiche configurative dell’utente di un gioco action nella misura in cui fornisce un pretesto plausibile per un gameplay interessante. Le cut scene rappresentano uno strumento efficace per veicolare le componenti narrative: l’uso di codici audiovisuali (anziché puramente verbali) rende la fruizione più coinvolgente o, per lo meno, spettacolare. Inoltre, sul piano tecnico, facilita il compito agli sviluppatori, che non devono distribuire le informazioni all’interno dei momenti interattivi per mezzo di eventi sceneggiati (da ideare e programmare). [...] Le cut scene sono funzionali al gameplay, in quanto rendono possibili funzioni ludiche che non potrebbero essere comunicate altrimenti [...] Un’efficace cut scene non si limita a definire il ritmo ludico. Essa può offire al giocatore una serie di informazioni utili per la prosecuzione dell’esperienza interattiva, consentendogli di pianificare meglio le sue mosse future. Inoltre, può catapultare l’utente in media res, sfruttando le strategie retoriche del linguaggio cinematografico per costruire un crescendo di suspense e tensione (Klevjer 2008).
Nel saggio “Watching a Game. Playing a Movie: When Media Collide”, Sacha A. Howells (2002) afferma che le cut scenes forniscono una valida motivazione al gameplay e un senso di direzione al giocatore, fornendo quella coerenza narrativa che il videogame, per propria natura, non possiede. In particolare, Howells afferma che “le sequenze d’azione permettono al giocatore di comprendere e risolvere la linea causale introtta dalla cut scene” (p. 113). Detto altrimenti, le cut scene definiscono una serie di problemi che il giocatore deve risolvere sul campo – ricordiamo che il gioco digitale è, innanzitutto, un esercizio dinamico di problem solving. Questo tema viene ripreso ed ampliato da Tanya Krzywinska (2002) nel saggio “Hands of Horror” che esamina le strategie diegetiche attraverso le quali cinema e videogame costruiscono suspense e tensione:
Le cut scene riducono la capacità di intervento del giocatore e rinforzano l’idea che una presenza metafisica autoriale operi all’interno del testo, plasmando e informando la logica del gioco. L’evocazione della vulnerabilità nei confronti di una forza inesorabile e predeterminata è strumentale alla costruzione e al mantenimento della suspense, dal momento che contraddistingue un mondo ludico che spesso opera al di fuori del controllo del giocatore [...] Le angolazioni predefinite della macchina da presa [...] e altri aspetti non negoziabili, inscritti nell’infrastruttura del programma, come il fato occulto che influenza lo svogersi delle azioni, costruiscono un preciso itinerario da percorrere (Krzywinska, 2001, p. 209-211).
Questa divergenza di opinioni riflette la scissione profonda che sussiste all’interno della comunità scientifica – così come in quella giornalistica e degli appassionati – circa la natura del testo videoludico. Inoltre, l’antinomia – vera o presunta – tra le pratiche configurative e le fasi rappresentazionali del videogame riflette l’analoga distinzione tra “narrazione” e “spettacolo” che ha infervorato (e infervora) ricercatori e teorici di film studies e che è stata analizzata, tra i tanti, da Geoff King (2000), Thomas Elsaesser e Warren Buckland (2002).
La questione è tuttora aperta.
Riferimenti bibliografici
Bittanti, M., 2008, “Gunporn/Gunplay. Breve storia tecnovisuale dell’FPS”, in idem, a cura, Schermi interattivi, saggi critici su videogiochi e cinema, Roma, Meltemi.
Bittanti M., 2003, “Pensa PlayStation. Il cinema technoludico", Cineforum, ottobre 2003, no. 428, pp. 15-22.
Bittanti, M., Morris, S., a cura, 2005, Doom. Giocare in prima persona. Milano, costlan.
Calica, B., 1998, “Cutting Cut Scenes, Or How To Stay Under 5 CDs And Still Have a Fun Game”, <<Gamasutra>>, 17 luglio, disponibile online: <http://www.gamasutra.com/features/game_design/rules/19980717.htm>
Elsaesser, T., & Buckland, W., 2002, Studying Contemporary American Films: A Guide to Movie Analysis. London: Arnold
Fraschini, B., 2003, Metal Gear Solid. L’evoluzione del serpente, Milano, Edizioni Unicopli.
Gaudiosi, J., 2007, “Hollywood Goes Gaming: Documentary on Starz”, <<WRAL.com>>, 27 novembre, disponibile online: <http://www.wral.com/entertainment/blog/1028423/?s=5>.
Hancock, H., 2002, “Better Game Design Through Cutscenes”, <<Gamasutra>>, 2 aprile, disponibile online: <http://www.gamasutra.com/features/20020401/hancock_01.htm>.
Howells, S. A., 2002, “Watching a Game, Playing a Movie: When Media Collide”, in G. King, T. Krzywinska, a cura, ScreenPlay: Cinema/Videogames/Interfaces, London, Wallflower Press, pp. 110-122.
King, G. , Krzywinska, T. 2002, “Cinema/Videogames/Interfaces”, in id., ScreenPlay: Cinema/Videogames/Interfaces, London, Wallflower Press, pp. 1-32
Klevjer, R. 2008, “Per una difesa delle cutscenes” in M. Bittanti, a cura, Schermi interattivi, saggi critici su videogiochi e cinema, Roma, Meltemi.
Krzywinska, T. 2002, “Hands on Horror” in in G. King, T. Krzywinska, a cura, ScreenPlay: Cinema/Videogames/Interfaces, London, Wallflower Press, pp. 206-225
Poole, S. 2001, “Trigger Happy”, <<EDGE>>, n. 106, December, disponibile online: <http://stevenpoole.net/trigger-happy/edge-106/>.
Schnitzer, A., 2003, “How to Build a Better Cutscene”, <<Gamasutra>>, 6 marzo, disponibile online: < http://www.gamasutra.com/view/feature/2889/how_to_build_a_better_cutscene.php>.
Thompson, C., 2005, “Oughtta Stay Out of Pictures. Why video games shouldn't be like the movies”, Slate, 27 gennaio, disponibile online: <http://www.slate.com/id/2112744/>.
Totilo, S., 2007, “Vs. Mode: MTV News’ Stephen Totilo Vs. level Up on God of War II. Final Round—Fight!”, <<Level Up>>, 29 marzo, disponibile online: < http://blog.newsweek.com/blogs/levelup/archive/2007/06/25/vs-mode-on-manhunt-2-round-1-fight.aspx>.
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Stile di citazione
Questo articolo e' stato pubblicato su [duel], Maggio-Giugno 2008.
Per citarlo: Bittanti, M. (2008), "Cutscenes. Il cinema nei videogiochi", [duel], maggio, p. 24-28.
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