Qual è il rapporto tra interattività ed empatia? I due termini si escludono
a vicenda? È possibile creare videogame che facciano pensare e insieme sollecitare una reazione emotiva profonda ? Sono queste le domande che
si pone Tale of Tales, team di sviluppo indipendente con sede a Gent, in Belgio. Da
diversi anni, i game designer Michaël Samyn e Auriea Harvey propongono esperienze
ludo-digitali sui generis, come l’MMOG
agreste e non-violento The Endless Forest.
L’ultima proposta di ToT s’intitola The
Graveyard ed è un “corto” in bianco e nero interpretato da un’anziana
signora che si muove, con esasperante lentezza, tra le tombe e i mausolei di un cimitero.
Quando la protagonista si siede su una panchina, esausta dopo la camminata, la
camera virtuale inquadra in primo piano il suo volto rugoso sovrimpresso sullo
schermo. Un brano di Gerry De Mol ci invita a riflettere sulla
nozione di mortalità. Terminata la melodia, possiamo rialzarci ed uscire dal
cimitero. Fine. Nella versione “full-price” (cinque dollari grazie),
la protagonista può morire in qualcunque momento, senza che l’utente possa intervenire.
Parlando con Alessio Ceccherelli, autore di un recente volume sulla nozione di
morte nei videogame, era emerso un dato curioso:
Ceccherelli: "Bauman parla di due attività culturali fondamentali nella civiltà dell'uomo: una è legata all'immortalità, l'altra alla sopravvivenza. In quest'ultimo caso si cerca di «rinviare il momento della morte, estendere la durata della vita [...]; fare della morte un momento interessante, un evento significativo, elevando l'accadimento della morte al di là del livello del mondano, dell'ordinario, del naturale; direttamente o indirettamente [...] rendere le cose un po' più difficili alla morte». La mia opinione è che questo è esattamente quello che cercano di fare i videogiochi verticali [...] ). Tutto punta a rendere l'evento della morte, sia essa inferta o subita, al di là «del mondano, dell'ordinario, del naturale». Il mondo di giochi simili si basa spesso su coreografie eccessive, mosse speciali: la morte non può che rispettare queste regole, ed è dunque spesso spettacolare, eccessiva, da grand guignol per l'appunto. "
The Graveyard, per converso, restituisce alla morte la sua mondanita’, il suo carattere di evento “normale”, “naturale”, non spettacolare. La banalita’ della propria fine. The Graveyard è una riflessione poetica sul concetto dell’”estrema possibilità” nei videogame e sulla mercificazione di tale a fini di intrattenimento: l’idea che si debba pagare per morire ha ovviamente una funzione ironica e iconica, prima ancora che economica. Ed assumere i panni di un’anziana signora, dal lento incedere, invece del classico super-eroe fallico, eternamente giovane e vigoroso, è sovversivo, o quanto meno, differente. Per capire fino in fondo il senso dell’operazione occorre rileggere con attenzione il “Manifesto dell’Arte in Tempo Reale”, scritto da Michaël e Auria, che invita a rigettare il concettualismo dell’arte contemporanea, a “raccontare storie interattive” e a creare esperienze ludiche capaci di trasformare profondamente gli utenti.
"Express yourself through interactivity.
Interactivity is the one unique element of the realtime medium.
The one thing that no other medium can do better.
It should be at the center of your creation." (Michaël Samyn e Auriea Harvey)
Gli autori descrivono in questi termini la loro opera:
"We know that The Graveyard is not really a game. We could have easily added some form of gameplay. But The Graveyard wasn't designed just for the players to have fun. While it doesn't make a clear statement about anything, we hope that playing the game gives people the opportunity to contemplate the various topics that the experience touches upon. Not even to come to some kind of personal conclusion (though it's ok if you do). Just to think about death, and life, for a moment. It's good for the heart." (Michaël Samyn e Auriea Harvey)
Giocando a The
Graveryard ho immediatamente pensato alle sequenze oniriche del Posto delle Fragole (1957) di Ingmar Bergman,
ma gli autori preferiscono paragonare la loro opera a un “quadro navigabile” (quando penso a questa espressione, mi viene in mente Myst). In ogni caso, The Graveyard ci ricorda che il videogame è
un esercizio buddista. Ti insegna letteralmente a morire. Ad
accettare l'inevitabile estinzione. La piccola morte ludica prefigura ed
esorcizza la Grande Morte.
Ceccherelli non condivide tuttavia questa tesi:
Ceccherelli: “In questo contesto sociale il videogioco si pone in vari modi, affrontando il tema della morte in maniere differenti. Non so se celebri la morte, se non forse in una celebrazione deformata, grottesca, spesso compiaciuta; ma di sicuro, a mio avviso, non la esorcizza: è proprio quel ripetere all'infinito le proprie mosse, quella banalizzazione eminentemente quantitativa, quel ridurla a "incidente di percorso", che impediscono la catarsi. Tutt'al più, giocando si tende a scacciare ancora più lontana l'idea e la consapevolezza della propria morte, quella vera, inibendo pertanto una sana presa di coscienza.
In quanto non-gioco, The Graveyard “normalizza” l’estetica della morte in un contesto spettacolare e grottesco come il videogame e non ci consente di riprendere l’esperienza dal punto in cui l’abbiamo interrotta: in questo senso, sovverte una delle regole prime del videogame, la ripetibilita’ e l’iterazione. E' un ibrido multimediale - che prende a prestito soluzioni e artifici tipicamente cinematografici - che ci costringe a ripensare il nostro rapporto con il medium videoludico e con le sue convenzioni.
Link: The Graveyard
Davvero un bell'articolo, in particolare mi è piaciuto quando in chiosa definisci il contesto videoludico "spettacolare" e "grottesco"; si potrebbero spendere ulteriori righe per spiegare perché effettivamente sia proprio così.
"Grottesco" perché, mi viene da dire, il libero arbitrio dell'utente istiga alla dissacrazione di pensieri o sentimenti "alti"; un conto è mostrare una scena d'amore al cinema, un altro è doverla "simulare" all'interno di un contesto interattivo.
A mio avviso il bravo "creatore" riesce benissimo ad aggirare questo ed altri aspetti della componente "grottesca" del videogame, e The Graveyard non lo fa.
Il punto è che credo che la cosa non sia poi così voluta, comunque sia si tratta di un esperimento molto interessante e "poetico" da cui possono partire innumerevoli spunti di riflessione.
Segnalo l'articolo di Ars Ludica su The Graveyard (a cui fanno seguito ben 95 commenti) e una critica al libro di Ceccherelli, sempre sullo stesso sito, scritti da Simone Tagliaferri:
http://arsludica.org/2008/03/23/the-graveyard/
http://arsludica.org/2008/02/27/recensione-della-recensione-di-oltre-la-morte-ovvero-i-libri-andrebbero-letti-prima-di-essere-recensiti/
Scritto da: Mario Morandi | 16/04/08 a 01:33