Videogame e film presentano numerose analogie, ma anche profonde differenze. In questo speciale in due parti esaminiamo alcuni elementi del linguaggio cinematografico ravvisabili nei videogiochi, le cut scene.
Le cut scene – dette anche cinematics o in-game movies – sono sequenze animate non-interattive che incorniciano, inframezzano o si alternano ai momenti di interazione vera e propria di un videogame[1]. In questi frangenti, l’utente non può esercitare alcun controllo sulla presentazione degli eventi predisposti dall’autore primo (il game designer). In molti casi, al fruitore è concessa la possibilità di rinunciare alla visione integrale della sequenza: premendo un tasto dell’interfaccia di controllo può passare immediatamente alla successiva fase interattiva (“skip cinematics”). Alcuni videogame – una minoranza, ma una minoranza significativa[2] – non contemplano tale opzione. L’introduzione delle cut scene nel testo videoludico risale agli anni ottanta. Tra i primi titoli ad utilizzarle in modo sistematico spiccano titoli come Portpia Renzoku Satsujin Jiken (1985) di Enix e Maniac Mansion (1987) di LucasArts[3].
Esistono numerose tipologie di cut scene. Per ragioni di semplicità, ne indichiamo tre: cut scene basate su riprese dal vivo (live-action), cut scene animate e cut scene interattive. Le prime rappresentano un’esplicita rimediazione[4] del cinema: consistono nella ripresa e successiva digitalizzazione di scene interpretate da attori “in carne e ossa”. Sono particolarmente diffuse negli adattamenti videoludici delle pellicole cinematografiche: in questi casi, i videogame spesso includono intere sequenze tratte dai film di riferimento – si pensi ai numerosi episodi interattivi del Signore degli Anelli e di Star Wars – oppure sequenze extra girate appositamente durante le riprese – è il caso di Enter The Matrix. L’uso di queste particolari cut scene è stato favorito dall’avvento di formati di registrazione digitali (dal CD-ROM al Blu-ray) particolarmente capienti – la dimensione dei filmati, nella maggior parte dei casi eccede quella del codice del gioco. Con l’aumentare dei dati memorizzabili, la presenza (e durata) delle cut scene è cresciuta esponenzialmente. Negli anni novanta, inoltre, la cut scene è assurta a vero e proprio genere, dando vita al cosiddetto “film interattivo”, un ibrido che ambiva a fondere la natura interattiva del videogioco alle potenzialità narrative e al fotorealismo del cinema. Com’è noto, l’esperimento è fallito, ma il formato non è del tutto scomparso – ha semplicemente cambiato forma, come vedremo. L’uso di cut scene live-action – particolarmente popolare negli anni novanta – è tuttora diffuso – si pensi alle efficaci sequenze di interrogatorio che inframezzano i momenti interattivi dello sparatutto in soggetiva BLACK (2005)[5] – ma la difficoltà di uniformare l’estetica delle fasi interattive e non interattive, a cui si aggiunge l’esigenza di contenere i costi di produzione, ha spinto i produttori di videogame verso tecniche di produzione alternative. Una di queste è la cut scene animata.
Le cut scene animate sono suddivisibili in due categorie: in-game e pre-rendered. Le prime sono renderizzate in tempo reale dal motore di gioco e come tali non presentano differenze cosmetiche significative rispetto alle componenti procedurali. A questo proposito, Adam Schnitzer (2003) scrive: “Le azioni dei personaggi e della macchina da presa [virtuale] sono sceneggiate in modo tale che per un giocatore vengano fruite come se si trattasse delle scene di un film, con la differenza che il filmato mostrato sullo schermo non è pre-registrato. Nel caso delle in-game cut scene, il set design è definito dalla meccanica del gameplay e la risoluzione dipende dalle potenzialità dell’engine”. Queste cut scene sono particolarmente diffuse nei titoli fantasy[6], ma anche negli action in terza persona (per esempio, le serie di Grand Theft Auto e Metal Gear Solid). Una soluzione interessante è quella adottata dallo sviluppatore Remedy Entertainment per Max Payne, che utilizza un mix di sequenze machinima e l’estetica del fumetto.
Le cut scene pre-rendered, invece, sono sequenze animate renderizzate dagli sviluppatori sfruttando tecniche come la computer graphics o la cel animation. Un esempio paradigmatico è la serie di Final Fantasy e, in particolare, il settimo capitolo, tra i primi giochi a sfruttare massicciamente questo artificio narrativo. Un discorso analogo vale per opere di Blizzard Entertainment come Diablo II o Warcraft III[7]. A differenza delle cut scene in-game, le scene pre-renderizzate presentano solitamente una qualità visiva superiore: “sono dei piccoli filmati che esistono come quadri individuali creati a prescindere del motore di gioco” (Schnitzer 2003). Per converso, esse presentano almeno due svantaggi: la divergenza qualitativa tra i momenti propriamente procedurali e quelli rappresentazionali finisce per frantumare la coerenza estetica del gioco, compromettendo l’immersione dell’utente nel testo. Un secondo aspetto negativo riguarda i possibili “errori di continuità” tra i vari momenti: dato che le cut scene pre-renderizzate sono realizzate ex ante, esse non tengono conto delle eventuali nuove caratteristiche acquisite da un avatar durante il gioco, per esempio, l’acquisizione di armi o costumi oppure il suo stato di salute: anche in questo caso, la differenza estetica tra la fase procedurale e quella rappresentazionale produce una dissonanza cognitiva nel giocatore. Questo fenomeno affligge, per esempio, la versione di Resident Evil 4 per PlayStation2.
Nei videogame dell’ultima generazione, le sequenze in-game possono essere renderizzate in tempo reale ed integrate efficacemente al gameplay. Inoltre, alcuni videogame offrono al giocatore la possibilità di modificare la posizione della camera virtuale durante le cut scene, rendendole così più dinamiche. È il caso di Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty, Devil May Cry e Dungeon Siege. Esistono poi casi particolari di videogame che riprendono ed aggiornano la struttura del “film interattivo” in modo sorprendentemente creativo: un esempio paradigmatico é Fahrenheit dello sviluppatore francese Quantic Dreams. In questo caso ci troviamo di fronte ad un testo composto essenzialmente di cut scene che vengono visualizzate sulla base delle scelte dell’utente.
Una seconda strategia narrativa è rappresentata dalle scripted sequence (letteralmente, sequenze sceneggiate) che introducono momenti propriamente narrativi all’interno di un contesto interattivo. Per scripted sequence s’intende una serie di eventi pre-definiti che vengono attualizzati dalle scelte del giocatore – per esempio, se l’avatar controllato dall’utente raggiunge una determinata posizione all’interno degli spazi simulati, il programma innesca una sequenza sceneggiata. In alcuni casi, le scripted sequence vengono utilizzate per visualizzare brevi cut scene che offono limitate possibiltà di interazione. In giochi come Half-Life o Call of Duty, sono usate per introdurre nuovi personaggi ed obiettivi senza interrompere il gameplay. Esse possono inoltre presentare elementi “narrativi” in modo dinamico. La scripted sequence offre un’esperienza di fruizione fluida integrata al gameplay, laddove la cut scene tende a dis-integrarlo e frammentarlo. Tuttavia, anche le scripted sequences vengono spesso criticate da quegli utenti che non apprezzano l’intervento discreto, ma pervasivo del game designer, la cui “mano invisibile” li guida in modo relativamente rigido nella fruizione del testo. Inoltre, dato che le sequenze sceneggiate si ripetono in modo sempre identico, alla lunga tendono ad annoiare come le cut scene. È il caso di F.E.A.R., una serie FPS horror sviluppata da Monolith: l’apparizione improvvisa di un fantasma in una stanza in penombra produce un effetto shock sul giocatore, ma la ripetizione ad nauseam della medesima sequenza finisce per sminuire l’effetto sorpresa (Fig 2.).
F.E.A.R. include numerose scripted sequences che si integrano al gameplay in modo più convincente rispetto alle cut scenes]
Una terza categoria di sequenze animate è rappresentata dalle interactive cut scene. Titoli come Tomb Raider: Legend, God of War II, Spider-Man 3, Heavenly Sword includono cut scenes che richiedono al giocatore di premere tasti corrispondenti alle icone visualizzate sullo schermo. La pressione prevede una sequenza non negoziabile: detto altrimenti, l’utente deve ripetere sul pad i pulsanti equivalenti entro un tempo prestabilito, pena il fallimento. Questa forma di interazione è paragonabile ai Quick Time Events della serie di Shenmue, che, a loro volta, hanno ripreso il gameplay dei primi film interattivi prodotti negli anni ottanta, come Dragon’s Lair e Space Ace di Don Bluth. Altri titoli che utilizzano queste cut scene ibride sono il summenzionato Resident Evil 4, Shenmue 2, Fahreneit e Spider-Man 3. Nel caso dell’adattamento videoludico della pellicola di Raimi, gli sviluppatori hanno ribattezzato le cut scenes “cineractives”, ma non sono riusciti ad integrarle perfettamente al gameplay. La differenza tra le situazioni sceneggiate e le cutscenes interattive è spesso sottile. Si pensi ad Half-Life: lo sparatutto in soggettiva di Valve è ricco di scripted scenes al punto che il giocatore può essere indotto a pensare che l’intero gameplay sia una lunga sequenza interattiva. In ogni caso, le cut scene interattive non godono di grande popolarità all’interno della comunità videoludica. Per i giocatori, infatti, esse compromettono la libertà di navigazione, imponendo una rigida struttura sequenziale ad un testo potenzialmente “aperto”.
Le cut scene fanno da trait d’union tra videogame e cinema, non solo a livello estetico, ma produttivo. Molto spesso, la direzione dei cinematics viene affidata a professionisti che operano nel settore cinematografico, anziché videoludico. Un esempio paradigmatico è Devil May Cry. Questa popolare serie action in terza persona è caratterizzata da innumerevoli scene animate non interattive: cut scene renderizzate in tempo reale accompagnano cut scene pre-registrate (per esempio, quelle che mostrano le differenti locazioni). L’autore delle cut scene del terzo e quarto episodio è Yuji Shimomura, regista (Death Trance 2005) e direttore delle scene action di alcuni film di culto (Versus, Ryuhei Kitamura, 2000; Shinobi, Ten Shimoyama, 2005).
- matteo bittanti -
- FINE PRIMA PARTE -
[1] Hancock (2002) la definisce cosi: “ogni elemento narrativo non-interattivo o che definisce una situazione all’interno di un gioco”.
[2] L’esempio classico è Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty di Hideo Kojima (Konami 2001). Per un’analisi dettagliata, cfr Fraschini, 2003.
[3] A questo proposito, si potrebbe suggerire che il ricorso a scene animate di tipo celebrativo nei giochi sportivi dei primi anni ottanta anticipa le cut scene moderne. Ringrazio Henry Lowood per questa acuta osservazione.
[4] Nell’accezione definita da Bolter & Grusin di “incorporazione di un medium in un altro”. Per approfondire, cfr. Bolter, J. D, Grusin, R., 1999, Remediation: Understanding New Media. Cambridge, Massachusetts, MIT Press (trad. it. Remediation Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Guerini & Associati, Firenze, 2002).
[5] Per ulteriori informazioni su BLACK, cfr. Bittanti 2008.
[6] Si pensi alla serie di Baldur’s Gate, che oltre alle sequenze video propone anche cut scenes audio (voice over) e testuali.
[7] Un caso interessante è quello di The Neverhood (1996), un’avventura pubblicata da Dreamworks che utilizza sequenze animate realizzate con la tecnica della plastilina, modellata su strutture di fil di ferro e filmata per mezzo dello stop motion, un processo noto anche come claymation.
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