Lo scorso settembre Microsoft ha introdotto sul mercato Halo 3. L’atteso sparatutto in soggettiva per Xbox 360 ha fatturato in un weekend oltre 300 milioni di dollari a livello planetario, sbriciolando il record del blockbuster Spider-Man 3. A tutt'oggi, le vendite complessive hanno superato quota 8 milioni. La straordinaria performance di Halo è stata celebrata come l’ennesima vittoria del videogame sul cinema.
Si parla infatti spesso di “sorpasso” del primo sul secondo. Se con questo termine ci si riferisce esclusivamente alla forza commerciale dell’industria videoludica, è noto che da almeno una decade i fatturati complessivi del divertimento elettronico hanno superato quelli del box office hollywoodiano. E Halo rappresenta solo la punta dell’iceberg: secondo la ESA, l’associazione americana dei publisher, grazie a un tasso di crescita medio del 17% tra il 2003 e il 2006 l’industria videoludica americana è cresciuta molto più rapidamente dell’economia statunitense complessiva, che ha fatto registrare una crescita media del 4%.
In un recente studio intitolato “Video Games in the 21st Century: Economic Contributions of the U.S. Entertainment Software Industry” si legge inoltre che nel 2006 l’industria videoludica statunitense ha dato lavoro direttamente a 24.000 persone, con un salario medio di 92.300 dollari all’anno, mentre sono più di 80.000 le persone sparpagliate in 31 stati che lavorano a contatto con l’industria videoludica ma in maniera indiretta. In totale, l’industria del sofware ha contribuito con 3,8 miliardi di dollari al PIL statunitense nel 2006, dei quali 1,7 miliardi di dollari provenienti dalle aziende californiane che rappresentano il 40% del personale impiegato in campo videoludico a livello nazionale. Per converso, il box office cinematografico è in stallo da anni e nel 2007 persino le vendite di DVD sono diminuite in modo significativo.
In realtà, la comparazione tra videogame e cinema è priva di senso. Se prendiamo in considerazione i profitti derivanti dalla vendita dei diritti cinematografici ai cosiddetti mercati “ancillari” – home video e pay-tv, telefoni cellulari e internet – l’industria cinematografica mantiene saldamente il primato nel mercato dell’intrattenimento: del resto, la factory della celloloide a non produce tanto film, quanto nuove proprietà intellettuali da spalmare su tutti i formati, videogame inclusi. Il vero passaggio di consegne riguarda semmai la dimensione del capitale culturale: se è vero che il cinema ha espresso la logica della modernità meglio di ogni altra arte, è palese che il videogioco è la forma espressiva dell’era digitale. Ha introdotto nuove estetiche e forme di partecipazione. Com’era lecito attendersi, cinema e videogame hanno dato luogo a un intenso interscambio commerciale, linguistico e tecnologico. Gli studiosi David Jay Bolter e Richard Grusin definiscono questo fenomeno “rimediazione”, l’incorporazione di un medium in un altro.
Sul piano pratico, negli ultimi vent’anni, gli sceneggiatori hanno preso in prestito alcuni aspetti diegetici (per esempio, la logica della ripetizione, del trial-and-error) ed estetici (l’ormai pervasiva computer graphics) del videogame. Anche a livello produttivo, la sinergia tra Hollywood e la Silicon Valley è intensa: le escursioni videoludiche di registi del calibro di Steven Spielberg, Peter Jackson, James Cameron, John Woo ma anche producers (Jerry Bruckheimer), attori (Vin Diesel) e sceneggiatori (John Milius, David McKenna) sono sempre più frequenti. Il videogioco, da parte sua, ha letteralmente incorporato il linguaggio del cinema – sotto forma di cut scenes (sequenze animate non interattive), ma anche attraverso la costruzione dei singoli quadri nei survival horror dell’ultima generazione.
Spesso, i risultati più affascinanti di questa contaminazione non provengono dall’industria videoludica – che fin troppo spesso si limita ad adattare svogliatamente il brand multi-mediale della settimana– da Harry Potter a Star Wars – ma dai fans più smaliziati, che sfruttano le potenzialità del mezzo per creare nuovi, sorprendenti artefatti culturali, come i machinima, cortometraggi animati creati con i videogame. In un’era transmediale, caratterizzata da una straordinaria proliferazione testuale e dall’eterno ritorno/rigurgito della pop culture, questo interscambio non deve sorprenderci. I registi odierni sono cresciuti con internet e Super Mario, così come la generazione precedente si era fatta le ossa con gli spot televisivi e con i clip di MTV (che non a caso oggi produce games di successo).
Accanto ai sempre più frequenti e lucrativi adattamenti cineludici registriamo la crescente popolarità di videogame che espandono l’universo narrativo di film cult: dal Padrino interattivo di Electronic Arts che ha resuscitato Marlon Brando – mandando su tutte le furie Francis Ford Coppola – allo Scarface digitale sceneggiato da David McKenna, fino al recente The Stranglehold, sequel elettronico della celebre pellicola di Woo, Hard Boiled. I giocatori possono re-interpretare in prima persona storie e personaggi entrati a forza nell’immaginario collettivo. In un certo senso, i videogiochi sono le director’s cut di quelle pellicole, con tanto di finali alternativi, scene tagliate, e, soprattutto, bloopers dato che il videogiocare non è che una lunga sequela di errori. Del resto, i fallimento e la morte, come spiega Alessio Ceccherelli, sono parte integrante dell’esperienza ludica (nota 1).
In termini puramente economici, a differenza di un comparto industriale tradizionalmente restio all’innovazione come il cinema, il videogame ama sperimentare. Non a caso, il divertimento elettronico propone a getto continuo modelli di business originali – dai micro-pagamenti nei giochi di ruolo coreani (dieci centesimi per acquistare una spada virtuale, trenta centesimi per un nuovo personaggio, cinquanta per personalizzare il proprio avatar e così via) ai pacchetti di espansione con livelli, personaggi e mappe nuove che possono essere acquistati in forma digitale grazie a service providers come Xbox Live e PlayStation Network; dagli abbonamenti mensili (oggi, dieci milioni di abbonati a World of Warcraft investono, ogni mese, diciannove dollari per esplorare reami virtuali in rete – fate due conti) al sempre più diffuso in-game advertising, la pubblicità dinamica e personalizzata nei videogame, che rappresenta il futuro del product placement, se non della comunicazione promozionale tout court.
A differenza di un film che viene semplicemente guardato, i videogame – specie quelli fruibili online – sono spazi abitabili, mondi paralleli dotati di complessi sistemi economici. È questo il tema di un interessante volume di recente pubblicazione, Universi sintetici. Come le comunità online stanno cambiando la società e l'economia (Mondadori, 2007) di Edward Castronova, uno dei massimi esperti sul tema. Castronova spiega come e perché queste forme di intrattenimento sono diventate, per milioni di persone, opportunità commerciali prima ancora che ricreative. Realtà e simulazione non sono antitetiche, semmai complementari: tra la “prima” e la “seconda” vita si è ormai innescato un loop insieme virtuale e virtuoso. Se ancora non fosse chiaro, i videogame non sono l’ancella del cinema. Semmai, rappresentano la sua evoluzione tecnica, culturale ed economica.
Stile di citazione
Questo articolo e' stato pubblicato sul numero 142 Queer, il supplemento del quotidiano Liberazione il 27 gennaio 2008. Copertina; Articolo.
Per citarlo: Matteo Bittanti (2008), "Il divertimento e' elettronico, addio sogni di celluloide", Queer, 27 gennaio, pp. 12-15.
Note
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Quando si parla del paragone tra cinema e videogiochi si dimentica spesso che il biglietto per vedere un film costa 10 euro, mentre un videogioco costa sei volte tanto. Certo, il rapporto tra ore investite e investimento varia, ma questo punto andrebbe chiarito. Io credo che il videogioco non potra' mai raggiungere il livello di popolarita' del cinema, un po' per ragioni di costi, un po' perche' le competenze necessarie per vedere un film sono minime se paragonate a quelle necessarie per giocare, e queto vale anche per i casual games gratuiti in rete. ma forse la situazione cambiera' quando le generazioni che sono cresciute con Halo e Tomb Raider avranno sostituito i cinquantenni-sessantenni di oggi.
Scritto da: MassimoPayne | 01/04/08 a 20:08
Ciao Matteo! Il pezzo mi e' piaciuto, ma vorrei farti notare una cosa: Hai ragione quando scrivi che "E' vero che il videogioco ama sperimentare piu' del cinema" ma non si dovrebbero dimenticare fenomeni come quelli degli AGR (Alternate Reality Games) che Hollywood usa sempre piu' spesso per promuovere i suoi film (ma anche serie televisive come Lost). Dovresti parlarne sul tuo blog. A presto! PS. Quando esce il libro?
Scritto da: Destroyer | 01/04/08 a 23:38